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Bruno Munari (October 24, 1907, Milan – September 30, 1998, Milan) was an Italian artist, designer, and inventor who contributed fundamentals to many fields of visual arts (painting, sculpture, film, industrial design, graphic design) in modernism, futurism, and concrete art, and in non visual arts (literature, poetry) with his research on games, didactic method, movement, tactile learning, kinesthetic learning, and creativity. In 1969 Munari asked Czech art student Miroslava Hajek to oversee the archive of his life's work after his death and so for 30 years Hajek compiled an encyklopedic account of all his work.

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La raccolta Bruno Munari Historical Works / Miroslava Hajek Archive, strutturata in modo cronologico è composta dai pezzi storici più importanti, evidenzia la profonda coerenza e il legame di continuità tra le varie opere e le diverse linee della ricerca estetica di Bruno Munari. La collezione parte da un’opera del 1927 e testimonia il lavoro di Munari fino alla sua morte, comprendendo circa 300 opere (tra queste Macchina inutile con guscio di zucca del 1934 e Tavola tattile del 1938). La raccolta include quasi tutti gli oggetti dell'artista, quali per esempio “aritmie” (originali del 1950), “sensitive” (1940), vetrini da proiezione (circa 100, tra quelli a luce polarizzata e quelli semplici), decine di progetti, disegni e polariscop. La coerenza della documentazione storica della raccolta è evincibile dal desiderio di Munari, espresso alla storica dell'arte Miroslava Hajek, a cui si deve la raccolta stessa in questa forma, che questa non sarebbe mai dovuta essere smembrata, venduta o alienata in nessun modo.

2011 - Munari nel Montefeltro

 

Sette installazioni in sette paesi del Montefeltro.

Sette installazioni luminose che interagiscono con l'architettura e il paesaggio.

Proiezioni dirette

1950 Vetrini 240 x 360 mm

 S. Leo, Palazzo Mediceo

Materiali misti: cellophane plastica, rete colorata, pellicola grattata, foglia secca, fili di lana, lacerti di tessuto   La ricerca di Munari sulla esplorazione della luce inizia nel 1950 con oggetti vari inseriti in vetrini di diapositive e proiettatati su superfici murali come veri e propri quadri luminosi, simili ad affreschi di luce.  “Le opere che Munari ha chiamato Proiezioni dirette – scrive Miroslava Hàjek –  insieme a quelle successive denominate Proiezioni a luce polarizzata, sono opere diffuse nello spazio, che hanno anticipato le successive installazioni luminose.  Si tratta di opere polimateriche realizzate  in forma di comuni vetrini da diapositiva che una volta proiettate assumono dimensioni monumentali. L’idea di proiettare l’opera d’arte è la logica conseguenza del lavoro precedente di Munari, iniziato con l’esplorazione dell’ombra, nel ciclo di Macchine inutili, ripreso in Concavo-convesso del 1947.  Munari era sempre più affascinato dal movimento di luci e ombre, logico quindi il passo verso la ricerca successiva che culmina proprio nel 1950 con i vetrini per le Proiezioni dirette. Opere realizzate con varie tecniche, innanzi tutto collage e interventi pittorici. I materiali utilizzati sono tra i più disparati, cellophane colorati, foglie, plastica bruciata, buccia di cipolla, fili di lana, retini, ecc. Gli originali restano nascosti poiché inseriti nel proiettore e quello che vediamo è un’immagine ingrandita, che diventa un affresco monumentale dipinto con la luce. Per cui Munari in questi lavori esplora la smaterializzazione dell’opera e la sua trasposizione assolutamente nuova per dimensione e consistenza.”  >In questa sede una selezione di vetrini di Proiezioni dirette è disposta in sequenza di 6 ogni 12 minuti per permettere allo spettatore la visione della varietà di soggetti creati da Munari con questa particolare tecnica.  “Lo stesso Munari – scrive ancora Hàjek – aveva cercato di dinamizzare queste immagini utilizzando vetrini multifocali  che mutano la percezione per mezzo della variazione della profondità. Cerca anche di introdurre il movimento proiettando i vetrini in sequenza come se fossero dei fotogrammi di un film.  Il problema di neutralizzare l’effetto caleidoscopio (che tramite prismi fissi crea mutazioni di immagine fisse e ripetitive) nelle proiezioni è risolto dall’artista facendo entrare gli spettatori all’interno degli ambienti, provocando così continue interferenze ed imprevedibili mutazioni dell’opera.”

Marta Alessandri

 

Brani tratti da Miroslava Hajek, “Bruno Munari. Fantasia esatta”, in Miroslava Hajek, Luca Panaro, Fantasia esatta. I colori della luce di Bruno Munari, catalogo della mostra, edizioni APM, Carpi, 2008.

Vetrini in sequenza ritmata

1950-53

Pennabilli, Fondazione Tonino Guerra Montecerignone, Chiesa di S. Caterina Belforte all’Isauro, Castello di Belforte

Materiali misti: rete, carte, plastiche, tessuti colorati, fili di lana    La ricerca di Munari sulla esplorazione della luce inizia nel 1950 con oggetti vari inseriti in vetrini di diapositive e proiettatati su superfici murali come veri e propri quadri luminosi, simili ad affreschi di luce.  “Le opere che Munari ha chiamato Proiezioni dirette – scrive Miroslava Hàjek –  insieme a quelle successive denominate Proiezioni a luce polarizzata, sono opere diffuse nello spazio, che hanno anticipato le successive installazioni luminose.  Si tratta di opere polimateriche realizzate  in forma di comuni vetrini da diapositiva che una volta proiettate assumono dimensioni monumentali. L’idea di proiettare l’opera d’arte è la logica conseguenza del lavoro precedente di Munari, iniziato con l’esplorazione dell’ombra, nel ciclo di Macchine inutili, ripreso in Concavo-convesso del 1947.  Munari era sempre più affascinato dal movimento di luci e ombre, logico quindi il passo verso la ricerca successiva che culmina proprio nel 1950 con i vetrini per le Proiezioni dirette. Opere realizzate con varie tecniche, innanzi tutto collage e interventi pittorici. I materiali utilizzati sono tra i più disparati, cellophane colorati, foglie, plastica bruciata, buccia di cipolla, fili di lana, retini, ecc. Gli originali restano nascosti poiché inseriti nel proiettore e quello che vediamo è un’immagine ingrandita, che diventa un affresco monumentale dipinto con la luce. Per cui Munari in questi lavori esplora la materializzazione dell’opera e la sua trasposizione assolutamente nuova per dimensione e consistenza.”  >Nelle sedi di Pennabilli, Montecerignone, Belforte all’Isauro viene presentata al pubblico una particolare tipologia di opera di luce, quella “a sequenza ritmata”, selezionando una serie di vetrini proposti da Munari in successione stabilita, come se fossero fotogrammi di un film. I vetrini sono stati composti con materiali e forme omogenee per favorirne un effetto di movimento.   Con questi esperimenti Munari cercava infatti di dinamizzare le immagini delle sue proiezioni luminose, simulando un movimento che sarà otticamente prodotto a partire dal 1953, quando Munari inserirà i  vetrini  tra due filtri Polaroid.

Marta Alessandri

 

 

Brani tratti da Miroslava Hajek, “Bruno Munari. Fantasia esatta”, in Miroslava Hajek, Luca Panaro, Fantasia esatta. I colori della luce di Bruno Munari, catalogo della mostra, edizioni APM, Carpi, 2008.

Proiezione a luce polarizzata

1953 Vetrini 400 x 400 mm

Novafeltria Chiesa di S. Marina

 Materiale: foglio di cellophane incolore ripiegato   Piandimeleto Castello dei Conti Oliva Materiale: foglio di cellophane incolore ripiegato   La ricerca di Munari sulla esplorazione della luce inizia nel 1950 con oggetti vari inseriti in vetrini di diapositive e proiettatati su superfici murali come veri e propri quadri luminosi, simili ad affreschi di luce.  “Le opere che Munari ha chiamato Proiezioni dirette – scrive Miroslava Hàjek –  insieme a quelle successive denominate Proiezioni a luce polarizzata, sono opere diffuse nello spazio, che hanno anticipato le successive installazioni luminose.  Si tratta di opere polimateriche realizzate  in forma di comuni vetrini da diapositiva che una volta proiettate assumono dimensioni monumentali. L’idea di proiettare l’opera d’arte è la logica conseguenza del lavoro precedente di Munari, iniziato con l’esplorazione dell’ombra, nel ciclo di Macchine inutili, ripreso in Concavo-convesso del 1947.  Munari era sempre più affascinato dal movimento di luci e ombre, logico quindi il passo verso la ricerca successiva che culmina proprio nel 1950 con i vetrini per le Proiezioni dirette. Opere realizzate con varie tecniche, innanzi tutto collage e interventi pittorici. I materiali utilizzati sono tra i più disparati, cellophane colorati, foglie, plastica bruciata, buccia di cipolla, fili di lana, retini, ecc. Gli originali restano nascosti poiché inseriti nel proiettore e quello che vediamo è un’immagine ingrandita, che diventa un affresco monumentale dipinto con la luce. Per cui Munari in questi lavori esplora la materializzazione dell’opera e la sua trasposizione assolutamente nuova per dimensione e consistenza.”  >Nelle sedi di Novafeltria e Piandimeleto vengono presentati al pubblico vetrini a luce polarizzata, realizzazioni create a partire dal 1953, “quando Munari – continua Hàjek – inserisce i vetrini tra due filtri Polaroid. Ruotando il filtro posto davanti al proiettore, la luce polarizzata attraversa i materiali contenuti nel telaio e si scompone nei colori dello spettro, provocando continue variazioni dell’opera.” Munari aveva introdotto nelle sue immagini di luce il movimento in sequenze cromatiche casuali e del tutto estranee alla determinazione dell’operatore. La rotazione del filtro era in grado di produrre infatti un movimento illusorio, come aveva in precedenza tentato di fare con le Proiezioni a sequenza ritmata. Munari era ben conscio di essere stato il primo nella storia dell’arte ad intraprendere questa ricerca e ne era ben conscio.  Lo stesso Munari così descrive la sua esperienza:  “Il fine è quello di ottenere immagini in cui i cambiamenti di colore si producono secondo la natura e non secondo il gusto personale di qualcuno. La risposta tecnica è di usare filtri polarizzati e di introdurre materiali senza colore, a stratificazione variabile, tra i due filtri. Queste stratificazioni e questi spessori determinano e definiscono le zone colorate, mentre la rotazione di uno di questi filtri permette la modificazione dei colori stessi su un ciclo cromatico completo…” (Bruno Munari, Fantasia, Laterza, Bari, 1977.  All’autocreazione cromatica delle immagini si aggiungono la proiezione su superfici di diversa morfologia architettonica e la presenza degli spettatori all’interno degli ambienti di luce, con continue interferenze ed imprevedibili mutazioni dell’opera.  Gli spettatori delle due sedi di proiezioni a luce polarizzata vedono solo alcune delle possibili variabili di creazione delle immagini poiché è stata riprodotta in ripresa digitale una sola serie interventi di rotazione del filtro (sarebbe stato impossibile utilizzare i vetrini originali e un operatore fisso per tutto il tempo della mostra).

Marta Alessandri

 

 Brani tratti da Miroslava Hajek, “Bruno Munari. Fantasia esatta”, in Miroslava Hàjek, Luca Panaro, Fantasia esatta. I colori della luce di Bruno Munari, catalogo della mostra, edizioni APM, Carpi, 2008.

Le immagini sono di proprietà di Miroslava Hàjek e Giampiero Bianchi è vietata la riproduzione .

Munari nel Montefeltro

 

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